Indagare la società (e i suoi riti) e la condizione umana attraverso l’iconografia artistica è un esercizio di straordinaria importanza. I quadri parlano, rivelano aspetti della realtà quotidiana, raccontano mode, tendenze, mentalità, anche quando sembrano raccontare altro. Nel XIX secolo, in particolare – quando la tradizionale gerarchia dei temi si allenta ed è concesso più spazio alla pittura di genere – la relazione tra arte e attualità è strettissima. Anche senza arrivare ai noti esempi degli impressionisti francesi, grandi narratori della quotidianità della borghesia del proprio tempo, la pittura dell’Ottocento è costellata di opere che rivelano dettagli preziosissimi per un’indagine approfondita della società dell’epoca, condizione femminile compresa.
L’universo femminile è da sempre fonte di ispirazione per gli artisti. Sin dalle origini dell’espressione umana in forma di manufatto – potremmo dire dalle Veneri paleolitiche – le donne occupano un ruolo di primo piano nell’iconografia artistica. Dee, donne reali o immaginarie, muse, oggetti del desiderio, madri, peccatrici, angeli del focolare o pericolose tentatrici, ritratte al lavoro o nella loro intimità, nella dimensione pubblica o privata, sotto forma di allegoria o come indagine sociale Le figure femminili regnano sovrane nella pittura di tutti i tempi.
A questa considerazione si potrebbe certo obiettare che le donne sono state oggetto d’arte ma non soggetto: come ben si sa, la storia delle donne artiste è lastricata di pregiudizi e difficoltà fino a tempi assai recenti, e lo sguardo con cui le figure femminili vengono rappresentate è comunque perlopiù uno sguardo maschile. Molto noto, a questo proposito, è il caustico manifesto realizzato negli anni ottanta dal gruppo delle americane Guerrilla Girls. Accanto a una odalisca di Ingres al cui volto era stata sostituita una maschera da scimmione, una scritta specificava: "Le donne devono essere nude per entrare nel Metropolitan Museum? Meno del 5% di artiste nella sezione di arte moderna sono donne, ma l’85% dei nudi sono femminili". Una riflessione amara, che merita attenzione (soprattutto nella sua dimensione storica) e che viene confermata dall’assenza di pittrici donne nel nostro percorso. Sono ancora rare, direi rarissime, le donne pittrici nell’Italia del XIX secolo, nonostante un progressivo miglioramento della situazione nel resto d’Europa (si pensi al clima più emancipato e attivo della Francia della seconda metà del secolo, che vede giungere a Parigi artiste da tutta Europa, soprattutto dalle aree scandinave e dagli Stati Uniti).
La nostra indagine, invece, partirà dal modo con cui gli artisti del XIX secolo hanno osservato, ritratto, talvolta usato pretestuosamente, la figura femminile, attribuendole significati diversi, talvolta contraddittori, affidandole messaggi ora moraleggianti, ora profondamente erotici. Esplorando le modalità di rappresentazione del soggetto, i cliché e gli stereotipi in cui spesso esso viene incasellato, i luoghi comuni o, al contrario, la volontà di liberarsene, ci si addentra nel concetto stesso di identità femminile. Le opere – e questo credo costituisca il vero punto di interesse – non rivelano solo importanti dettagli sulla condizione femminile ma anche come gli uomini abbiano percepito, considerato e immaginato le donne, di quale fosse nel XIX secolo lo status quo della rapporto tra i due sessi e degli equilibri maschile-femminile. Dato che, senza dubbio, l’Ottocento ha rappresentato un passaggio cardine verso l’età contemporanea e lì affondano le radici del pensiero moderno, questa analisi assume elementi di interesse che superano di gran lunga la curiosità storica, suggerendo motivi di riflessione di stringente attualità.
(Estratto dal testo in catalogo di Simona Bartolena )