Arte in corso
Heartismo 1. Maria Chiara Zarabini: Corredo per Daphnae
11/01/2012
Il primo Heartismo del 2012 è dedicato a Maria Chiara Zarabini, scultrice e videoartista bolognese Maria Chiara Zarabini propone la mostra itinerante Corredo per Daphnae: autoritratti fotografici, sculture per il corpo e il video Daphnae (2008)... vivranno in una sorta di stanza
dei corredi.
Dall'11 gennaio al 5 febbraio 2012.
"L'idea del corredo del proprio corpo realizzato in rete di alluminio
e di ottone, suggerisce la volontà di lasciare una memoria
autobiografica e, appunto, corporea – spiega Maria Chiara Zarabini -.
E così le sculture, come le foto e le poesie che ricoprono le
strutture metalliche, sono memorie autografe, reliquie di una
metamorfosi o tracce di pensieri".
«Il mito è la parola vera: richiama un evento che si ripete perché caduto in un luogo caratterizzandolo. Racconta l'origine del mondo e del paesaggio»
(Percepire paesaggi, Massimo Venturi, Bollati Boringhieri 2008)
L' origine du monde, di Gustave Courbet, è una di quelle opere d'arte in grado di iniziare un'epoca. Con essa è nato il nuovo realismo che è alla base dell'Impressionismo. Non è l'opera più nota del pittore francese e neanche quella che dà il nome al movimento ma riassume in sé tutta rivoluzione artistica dell'epoca che non è costituita solo dalla provocatorietà del soggetto, né dal suo essere esplicito – si narra che il mercante a cui fu affidata per la vendita per molto tempo la tenne, coperta, nel retrobottega –ma dal bisogno che Courbet, e poi quelli che lo seguirono nell'avventura dell'Impressionismo, di interpretare la novità dei tempi facendo tesoro dell'insegnamento di Corot.
Tempi che andavano verso l'abbandono dell'arte simbolica ed edificante, per immettere nelle opere il mondo. Il plein air del maestro fu inteso come una riappropriazione-apprensione del mondo fisico e della natura in cui si vive e da cui, appunto, si nasce. «Fai ciò che vedi, che senti, che vuoi» era il motto di Courbet per descrivere il suo lavoro e la necessità delle sue opere.
Tutto ciò significava anche l'abbandono di una tecnica pittorica ormai fine a se stessa «intesa come esibizione di un sapere, di stile inteso come elemento riconoscibile legato all'individualità» ma la «esaltazione di un linguaggio che ambisce all'universalità».
«Ascoltare il corpo per registrarne i gemiti e trovarne una cura, ascoltare la natura per riallacciare quel legame perduto, liberare il corpo per liberarlo dalle sue infinite pelli il tutto senza preoccupazioni di calpestare terreni sconosciuti».
Potrebbero essere le parole scelte da Courbet per descrivere l'Origine du monde. Invece no: le frasi appena citate sono le basi teoriche di Maria Chiara Zarabini alle prese con la coerente evoluzione del suo fare arte in una simbiosi carnale di identificazione tra il suo corpo e quello delle cose che ci circondano: cosa tra cose del mondo.
Se i suoi primi lavori hanno verificato le varie possibilità di scomposizione alla maniera postmoderno-neocubista dell'albero di mandorle del suo giardino ora viene effettuata l'operazione inversa. Terminata la decostruzione dell'organico, con Daphne opera la ricomposizione vivificante e cioè la simbiosi della cosa con la stessa artista che alla fine viene fagocitata dal suo stesso fare: diviene una pianta, la stessa del mito, l'alloro che a poco a poco copre il corpo di Daphne per sostituirlo.
A differenza del mito, però, questa non è una metamorfosi per identificare la natura con la divinità ma è un viaggio alla scoperta della divinità che siamo noi stessi; nessun panteismo ma una compassione nei confronti dell'uomo sperso nel mondo con tutto ciò che lo circonda.
Un francescanesimo laico, di valenza ecologistica che nasce dalla conclusione, ormai accettata dai più, che il mondo o si salva, fisicamente, tutti insieme, uomini, animali, vegetali, minerali, o perisce.
E l'uomo sarebbe il primo a scomparire, come nell'opera di Maria Chiara Zarabini, perché se non usa correttamente la propria facoltà di raziocinio rischia di essere considerato dal "sistema-natura" come ad esso estraneo.
L'arte dunque che salva il mondo, che è nata con questa necessità vitale e anche ai nostri giorni essa deve continuare ad avere lo stesso legame con la vita pena la sua inutilità e gratuità.
Ma con il progresso della civiltà, con la banalizzazione dei miti e la sempre più difficile decifrazione dei simboli l'uomo ha perso i significati dei suoi legami con il mondo. Se nell'età dei miti «pressoché ogni uomo era il legislatore e sedeva con gli dei» successivamente il rapporto si è invertito: solo pochi, e tra questi gli artisti, hanno continuato a vivere l'originario.
L'opera d'arte dunque è il residuo di questa attività di disboscamento della realtà, di discernimento dell'universo. di bilanciamento dell'artista uomo nel mondo per cercare la strada: l'arte non appartiene all'uomo che la pratica ma alla vita stessa:
«Mia? Non è mia questa arte,
la pratico, la affino,
le apro le riserve umane di dolore,
divine me ne appresta
lei di ardore e di contemplazione
nei cieli in cui mi inoltro...»
Mario Luzi, da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.
Tutto ciò costituisce la contemporaneità: vivere nel presente con lo sguardo rivolto al passato al fine di poter leggere e decifrare quanto si è addensato intorno a noi che guardiamo ma non riusciamo a vedere senza la mediazione conoscitiva dell'arte.
Roberto Pacchioli